Incontri e riflessioni

Missione in Bolivia, pensieri.

Scritto da Annamaria Varsori, 5AS il 23 Settembre 2012.

Missione in Bolivia, pensieri.
Autunno 2011, distrazione davanti alla tv, pensieri vorticosi mi girano per la mente. Un pomeriggio come gli altri, durante il periodo della scuola. Nulla di diverso rispetto al solito. Nulla. Eppure mi folgora il pensiero, quel pensiero che cambierà la mia estate e probabilmente il modo di vivere la mia vita. Il pensiero, o meglio, il desiderio: “La prossima estate me ne vado all'estero. A fare volontariato".
Nasce così la mia avventura boliviana, da un pensiero che definisco quasi vocazionale, nato dal nulla eppure talmente grande...
Parte un giro vorticoso di parole con mia madre (che sostiene la mia iniziativa), con mio cugino che fa su e giù dal Brasile, conquistato da un gruppo di bambini delle favelas, con la mia amica Barbara che diventerà mia compagna di viaggio, con il mio parroco che ci trova un posto in un paesetto tra le Ande, e ci troviamo così a Hayapacha ad affrontare la vita vera. Quella vita che in Italia non esiste più da centocinquant’anni: senza confort, senza telefono, internet, la posta, il termosifone, addirittura l'acqua potabile. 
La missione di Huaya è gestita dall'Operazione Mato Grosso: un gruppo di volontariato sparso in tutto il Sud America, che si occupa di scuole per ragazzi e ragazze, dove viene insegnato loro un lavoro manuale utile per il futuro. Dopo la scuola media (divenuta obbligatoria da talmente pochi anni che si contano nelle dita delle mani) le opzioni sono poche: o lavori nei campi, arando ancora con i buoi, o, nel peggiore dei casi, tirando tu stesso l'aratro di legno o (per quanto riguarda le ragazzine) rimani incinta, o entri nella spirale della droga e dell'alcol (come spacciatore o come consumatore) oppure scappi in città dove l'opzione precedente è comunque il 90% dei casi.
A Huaya c'è un atelier per ragazzi, futuri falegnami, tutti più o meno miei coetanei, tutti più o meno senza genitori. Eppure non ho mai conosciuto ragazzi migliori. Hanno una semplicità disarmante e una onestà quasi infantile. Diversi, eppure sempre ragazzi, con le loro speranze e i loro sogni, che la domenica fanno il bucato a mano con noi, ignari di cosa sia una lavatrice, ma con una spensieratezza assoluta.
Probabilmente chi leggerà tutto questo mi prenderà per una fissata, e penserà “ecco adesso questa ci fa la predica e ci dice che loro sono meglio di noi perché sono poveri e bla bla bla..." . Almeno questo è quello che avrei pensato io prima di andare lì, leggendo una testimonianza simile. Capisco e sono consapevole che certe cose si comprendono solo provandole.
Foto_Bolivia_1-800x600 Io non voglio dirvi che sono meglio, che lì è un paradiso, anzi, tutt'altro: ho aspettato ogni giorno con ansia il mio ritorno in Italia, ringraziando per essere nata nel mio bel paese, eppure approfitto per raccontarvi un'unica storia. Quella che mi ha segnato di più.
Con Barbara avevo il compito di portare, una volta al mese, i viveri alle persone più in difficoltà (una bottiglia d'olio, un sacchetto di riso, uno di pasta e uno di zucchero). Un giorno siamo andate a casa di Magdalena, una ragazza di trent'anni, più o meno, che vive nelle classiche case di fango della zona. Eppure, per quanto può sembrare assurdo, la sua era addirittura peggiore delle altre: senza porte né finestre. Un'unica stanza impregnata dal fumo della stufa senza camino, tra vestiti sporchi e senza alcun mobilio. Magdalena ha tre figli (l'ultimo nato da poco), ma lei non è sposata, lei non lavora, lei non capisce quando le parli, lei non dice frasi coerenti, e non fa neppure cose coerenti. In Italia lei sarebbe considerata pazza. Ad ogni festa del paese qualcuno la mette incinta, approfittando forse del fatto che ad ogni festa del paese, come ogni sera in realtà, si ubriaca. E così vengono al mondo delle creature che solo la vecchia nonna accudisce come può, la mattina e la sera quando non è a far pascolare il suo piccolo gregge di pecore. Vivono in quel tugurio sporco, con i vestiti sdruciti e mangiando la zuppa due volte al giorno, con una mamma pazza, alcolizzata, e che li picchia senza un perché.
La bambina ogni volta che ci vedeva ci chiedeva perché non la portavamo via, perché non la salvavamo.
Questa è la storia che volevo raccontarvi, per farvi capire quanto siamo fortunati anche solo ad essere nati per essere amati, perché a noi non è preclusa la possibilità di crescere felici davvero. Sforziamoci, allora, a non pensare sempre che "la vita fa schifo" poiché abbiamo la possibilità di viverla nel modo migliore che ci è concesso.
"Di essere grato di essere nato nel lato del mondo che in fondo, in fondo è perfetto" (Articolo 31)
Grazie.

Ti potrebbero interessare