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Si stava meglio quando si stava peggio?

Scritto da M. E. il 03 Marzo 2011.

UNIVERSITA'. UNIVERSITA'. UNIVERSITA'. Questa parola mi sta devastando, mi sta straziando, mi sta prendendo così tante energie che mi sento completamente svuotata. So che sembra un'esagerazione, ma ogni volta che la sento, che viene pronunciata, mi viene un buco allo stomaco. E pensare che, solo un anno fa, identificavamo l’approdo all’ “Università” come la sospirata libertà da quei giorni grigi e bui, contornati dalle voci stridule di prof. antipatici, che sembrava facessero di tutto per non ammetterti all’esame di Stato. Già, perché quei "maledetti" professori proprio non ce la facevano a non correggerti il minimo errore, a spiegare e rispiegare gli stessi, noiosissimi argomenti fino alla nausea.
Ovviamente, qualsiasi studente liceale non può far altro che pensare: ma perché questo esimio professore, invece di torturarmi e torturarci, non ha scelto di fare il collaudatore di spazzolini o di materassi? Perché continua a chiedermi le uniche due maledettissime righe che non so? Cos'è: un uomo o un robot caricato a molla la sera prima, dotato di un sofisticato radar che riesce a rilevare solo chi proprio quel giorno non è riuscito a studiare, punendolo con un tre o con un quattro sul registro, quasi ci provasse gusto!? Beh, come dare torto a questo bistrattato e povero studente che avrebbe voluto studiare (oh sì, eccome se avrebbe voluto!), ma che per cause di forza maggiore (facebook, sms, cellulare, amiche/amici, tv di bassissimo spessore culturale…) non ha proprio potuto?
Come posso, io, dargli torto? Con quale coraggio? In fondo, mi dico, queste erano le stesse cose che pensavo al liceo; non una virgola in meno (forse, in verità, qualche parolaccia in più). Eppure adesso, al mio primo anno di università, mi dico che, quando pensavo questo, pensavo un sacco di cavolate. Eh, già, lo sto ammettendo e vi confesso che per una come me non è per niente - ma proprio per niente! – facile. Eppure é giusto farlo: mi sono sbagliata e non credo di essere stata la sola.
Ho pensato che quei professori (non tutti ovviamente: c'è qualcuno che a scuola si comporta “in un certo modo” probabilmente per vendicarsi dei torti subiti quando sui banchi c’era lui…)…quei professori – dicevo – ci richiamavano al rigore e all’impegno perché sapevano e sanno che se non si prendono loro cura degli studenti alla scuola superiore (delle elementari e delle medie qui non parlo), poi non lo farà nessuno. Perché all'Università non c'è il professore che vi conosce, che vi compatisce, che dice "vedo che hai studiato; la verifica non è andata benissimo, ma siccome ti sei impegnato ti do un bel sei".
“Quel” professore all’Università non esiste, miei cari colleghi!
Per i docenti universitari voi sarete soltanto un numero (quello della vostra matricola, per essere precisi) e potrete metterci tutto l’ “impegno” che vi pare, ma se non studiate con costanza e non conoscete i programmi, il massimo che potrete ottenere sarà un bel: "Caro ‘lei’, vedo che non ha le idee molto chiare. Si ripresenti al prossimo appello…", oppure un laconico: "Matricola 01524 non ammessa all'esame orale".
Non ve lo aspettavate, vero? All’Università non ci sarà quel bravo persuasore del rappresentate di classe che cerca di impietosire il professore per convincerlo a spostare il compito perché ne avete già un altro e il regolamento dice che…eccetera eccetera eccetera… All’Università ci saranno lezioni da seguire, esami da preparare, voti da conquistare grazie ad una solida ed adeguata preparazione. Aggiungo che potrà capitare che ci siano anche due esami lo stesso giorno, che voi dovrete scegliere a quale presentarvi e che se verrete bocciati, di sicuro  rimpiangerete di non essere andati a sostenere l’altro esame, per il quale forse eravate più preparati.…
All'Università non conta quanto siete belli, buoni, simpatici, creativi; non conta da dove venite, quali problemi familiari avete, qual è il vostro percorso scolastico… All'Università conta quanto e come avete studiato; non quanto avete sudato per arrivare alle conoscenze richieste. A volte, non basta nemmeno aver studiato tantissimo, perché capita che siano richiesti ingegno e rapidità. Pensate stia scherzando? Mi spiace deludervi! Ecco la prova. Esame di “diritto privato”. Il professore prende dal portafoglio cinquanta euro, li appoggia sulla cattedra e vi chiede cosa siano. Panico negli occhi di chi se li vede davanti. Lo studente cerca inutilmente di trovare nella memoria la pagina del libro in cui ci sia l’esempio dei cinquanta euro appoggiati su un tavolo, azzarda una risposta (ovviamente errata), il professore quasi compiaciuto lo liquida con due parole (quelle giuste): “indebito oggettivo” e ci aggiunge un bel “si ripresenti al prossimo appello!”.
Vorrei specificare che quello che vi sto raccontando non vuole essere terrorismo psicologico. Sto facendo degli esempi per arrivare ad un consiglio che vi porgo col cuore: non abbiatecela così tanto a male con gli insegnanti che vi vogliono spronare, educare, insegnare a proteggervi dal delirio di onnipotenza di chi verrà dopo di loro. Studiate con costanza, perché vi servirà di sicuro! Abbiate cura e abbiate a cuore quei banchi ora così odiati! Godetevi il liceo, perché una volta superato il colloquio con la commissione (che non è niente in confronto a un esame vero!) non si torna più indietro e rimpiangerete i momenti persi ad avercela col mondo, senza fare nulla per cambiarlo, senza cercare di fare quel “qualcosa” che, il mondo, ve lo farebbe amare!

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